Faccio parte degli "Scrittori Emozionanti" che ogni mese portano ai lettori le proprie riflessioni ed esperienze ogni volta su un tema diverso che sempre apre la mente alle emozioni.
Madre e manager
Macchiavelli o Scala 40? Oppure un gioco con regole prese in prestito dall’uno e dall’altro? Poco importava. L’essenziale era trascorrere un’ora ogni sera con mio marito e i miei figli adolescenti, senza notiziari, senza pensieri cupi.
Abbiamo vissuto in una casa troppo piccola senza muri o porte tra studio, cucina, salone: open space, quando di aperto non c’era più nulla.
Molti mesi con il terrore del contagio, costretti in una convivenza prolungata, collegati ad un mondo lontano e limitato allo stesso tempo.
Molto è stato scritto sulla resilienza, io per prima ho sentito di aver cambiato forma, di essermi adattata a nuovi ruoli, nuovi ritmi, nuove esigenze.
Preoccupata per le possibilità esigue di crescita emotiva e relazionale dei miei figli, costretti a vivere una situazione paradossale nell'età più delicata della loro evoluzione, ho cercato di creare ritmi costanti in una vita che di normale non aveva più nulla.
Le partite con le carte erano un appuntamento cui nessuno di noi voleva rinunciare. Una parentesi serena, una storia che evolveva ogni sera, un confronto tra pari, una simulazione di relazioni e crescita. Un gioco.
Ma il silenzio e la solitudine erano la norma durante tutto il giorno; eravamo costretti a guardarci allo specchio per distogliere lo sguardo dai teleschermi e quindi a scandagliare in profondità i nostri pensieri. Non vedevo alternative, anzi ad un certo punto ho sentito l’esigenza di crescere e far crescere i miei figli ancor di più in quella direzione.
Abbiamo intrapreso un percorso di coaching, sempre per gioco, nuovamente con curiosità. Abbiamo risposto ad innumerevoli domande e abbiamo poi avuto un confronto guidato per conoscere le nostre esigenze e i nostri bisogni all’interno della nostra piccola comunità familiare.
Ho fatto questo regalo ai miei figli ma ovviamente ho imparato molto anche io.
Ho bisogni moderati, quindi, come sapevo già, mi adatto alle situazioni. Cambio forma a seconda del recipiente in cui devo stare ma non perdo la mia integrità.
Ma qui non è mia intenzione descrivere quale sia la mia natura.
Vorrei scrivere dell'esigenza di autoaffermazione, quella che in me è assente sebbene io abbia amor proprio e l'ambizione di trovare il mio posto nel mondo.
E allora faccio un passo indietro, al momento in cui il voto di laurea ha sancito la fine dei miei studi. Ho smesso di essere una studentessa, anche sulla carta d'identità, dove ho voluto aggiungere il cognome di mio marito e dei nostri figli.
"Casalinga". Qualche piccola traversia mi aveva di fatto frenato nell'intraprendere il lavoro che avevo costruito con una serie di abilitazioni post universitarie.
Inizialmente ho sofferto: mi sembrava di aver buttato al vento i miei anni di studio.
Poi mi sono adattata, come sempre.
Mamma, moglie e casalinga. Ma tutto questo non può essere inserito nel Curriculum Vitae.
Ne ho inviato uno quando ho potuto rimettermi in gioco: un rifiuto tanto elegante quanto fulmineo da parte dell’ufficio del personale.
Ho dovuto adattarmi nuovamente: se il lavoro non me lo danno, lo creo io su misura per me, dando il giusto valore agli anni passati.
Ma non è questo il punto. Non è il mio risultato lavorativo che pongo sotto i vostri occhi. E nemmeno la mia riuscita come madre: il risultato del tempo dedicato ai figli non si misura nell'arco di 20 o 30 anni. Non c'è possibilità di affermare di essere una madre di successo. Una madre influisce nell'educazione dei propri figli, è fondamentale, ma non determina l'esito della vita dei propri figli in modo univoco. I risultati dei figli non sono una chiave di lettura della bravura di una madre.
Vorrei anche che non cadeste nella facile trappola di un commento superficiale come tanti che ho sentito ripetere: hai fatto una scelta di comodo, hai avuto la possibilità e la fortuna di essere mantenuta dal marito, non hai lavorato quando tutte le altre hanno fatto sacrifici. Ho argomentato per ciascuna di queste frasi, quando ho voluto, senza la necessità di dover difendere la mia integrità.
Giustamente in questi anni vengono difese in ambito lavorativo le pari opportunità delle donne rispetto a quelle degli uomini, donne ancora troppo spesso relegate a ruoli secondari perché madri o possibili future madri.
Ma con questo intento si trascurano del tutto quelle donne che hanno dovuto o hanno deciso di essere solo madri, abbandonando o rimandando la propria affermazione professionale. E non penso siano una minoranza. Sono silenziose.
Sono considerate sottomesse ai mariti o sfruttatrici, donne deboli e di poca sostanza, frivole e vuote, pigre e inette.
Una donna, madre, come può riproporsi nel mondo del lavoro dopo anni di assenza, se su di lei pesano così tanti pregiudizi?
Viene negato il diritto di veder attribuire ad una "donna soltanto madre" la dignità che merita.
La voce "madre" dovrebbe entrare a tutti gli effetti nel Curriculum Vitae perché essere madre a tempo pieno è un valore.
Non sminuisce quello di donne che hanno fatto scelte differenti; è un'alternativa con pari dignità. Semplicemente.
Perché mi scaldo adesso e ne parlo, ne scrivo?
Mia figlia sta scegliendo l’università che frequenterà al termine del liceo, tra un anno. Vuole fare carriera, qualsiasi cosa questo significhi per lei, studia per poter lavorare con soddisfazione.
Ricordo però un tema che aveva svolto alle elementari in cui si immaginava madre di 5 figli, me al suo fianco pronta ad aiutarla. Una casa affollata, una mezza dozzina di cani e gatti per non farsi mancare nulla.
Vorrei che potesse immaginare entrambe le cose, un ruolo lavorativo soddisfacente e una vita di madre appagante. Ma non per forza contemporaneamente.
Vorrei che fosse libera di scegliere, avendone l'opportunità, di essere madre da giovane e lavoratrice in età matura.
Vorrei che "madre fino a 35 anni" fosse una voce del Curriculum Vitae degna di nota agli occhi della società.
Anche questa è parità, tra donne lavoratrici e donne casalinghe, non soltanto tra uomini e donne.
Perché non tutte le donne sono come me, che mi adatto ma che non cambio idea.
Altre donne, forse proprio le più giovani, potrebbero patire la forma di giudizio che avverto io da sempre e quindi, nell'intento di autoaffermarsi come donne di successo, potrebbero decidere di accantonare una parte importante della loro indole: l'esigenza di essere madri a tempo pieno.
La vera libertà è nell'assenza di pregiudizio, è nell'accantonare, volendo e potendo, l'esigenza di autoaffermazione dando più valore ai propri desideri.
Voglio mia figlia libera.
Accettare chi siamo
L'attimo fuggente della Felicità
Sentire la paura
Genitori consapevoli
Le parole magiche
Qualche anno fa ho caricato poche cose in ascensore, ho varcato la soglia di una porta che non riconoscevo, cercato a tentoni l’interruttore della luce e ho sfilato il cappotto. Ho traslocato in un’altra città. Tutto in un solo giorno.Ma con il trasloco sapevo di non aver ancora cambiato “casa”. La mia era dove avevo vissuto per quindici anni con la famiglia, nella città dove ero nata quarant’anni prima.Avevo deciso, pensato, programmato e immaginato il cambiamento ma l’ho vissuto molto tempo dopo il trasloco.Perché il cambiamento non avviene in un istante come conseguenza di una singola azione.Ci sono voluti mesi per sentirmi veramente a casa, per guardare fuori dalla finestra e vedere non soltanto il cielo, gli alberi e le persone ma per associare ad ognuna delle immagini un ricordo: l’ultimo temporale, la fioritura di un albero, il caffè a casa di una vicina.Il desiderio di cambiamento era stato l’obiettivo e ho dovuto lavorare molto tempo per arrivarci, mettere in successione una serie di azioni quotidiane, tanti piccoli passi che avrebbero fatto mutare le mie sensazioni.Quello che non avevo immaginato e non avevo potuto programmare era un cambiamento che sarebbe avvenuto ancora più in profondità, quello del mio rapporto con gli altri.Le persone che incontravo non sapevano nulla del mio passato e dovevo farmi conoscere per ciò che ero in quel momento, nel presente, un gesto ed una parola dopo l’altra. L’immagine che mi veniva restituita dai miei nuovi conoscenti era ciò che ero diventata per loro in quell’istante. Mi sono resa conto di non dover fare costantemente i conti con il passato, come se avessi avuto una nuova possibilità e fossi tornata a far parte degli adolescenti con il vantaggio rispetto a loro della consapevolezza del mio essere.Ho avuto quindi la possibilità di riflettere sull’influenza che l’ambiente può avere sul carattere di un giovane ancora sprovvisto di una propria esperienza di sé. Si affida al giudizio altrui in tutto e per tutto, dal genitore all’insegnante.La mente dei giovani è plasmabile, di questo un adulto deve essere sempre consapevole.Uno sguardo, una parola di un genitore e al bambino o al ragazzo viene fornito un tassello che comporrà l’immagine che lui avrà di sé. Ciò che l’ambiente gli avrà confermato di essere sarà un facile appiglio per costruire il carattere. Per questo motivo si rischia che un bambino descritto costantemente da un genitore come “monello” si comporti sempre da monello, perché si riconoscerà in quell’atteggiamento.Un bambino che nei primi anni di scuola raggiunge buoni risultati e viene lodato sarà più propenso a confrontarsi con nuove sfide proponendo un atteggiamento costruttivo.La preferenza di una certa materia scolastica sarà influenzata dalla propensione innata dello studente, dalla simpatia e dalle capacità di fare chiarezza sugli argomenti dell’insegnante ma anche dal giudizio che lo studente riceverà nelle verifiche, la restituzione di un numero che lo qualifica.In ambito scolastico però non ci sono soltanto i voti. Esistono delle etichette ancora più pesanti da portare. Sono le diagnosi di Disturbi Specifici dell’Apprendimento, sottoscritte da neuropsicologi in seguito ad una valutazione delle capacità più o meno compromesse nell’ambito della lettura, scrittura o calcolo.L’acronimo di questi disturbi è DSA.La diagnosi è necessaria perché in ambito scolastico è richiesta una certificazione per poter godere di pari opportunità.Io insegno a bambini che hanno difficoltà con la matematica e che presentano DSA, già certificati o in fase di analisi.Io devo affrontare con loro la materia scolastica che trovano più sgradevole e in cui si sentono meno capaci. Alcuni arrivano presto, nei primi anni di studio, altri hanno già un passato di continui fallimenti e quindi una grande “etichetta”.In questi ragazzi io devo scardinare il senso di sconfitta cui sono abituati e convincerli ad iniziare una nuova sfida.Il cambiamento come sempre non è repentino ma con gli anni ho imparato che oltre al duro lavoro, lungo e costante, ho alcune armi a mio favore.Creo delle nuove etichette e uso quelle che ormai chiamo “parole magiche”.Nel mio libro “Sassolini per contare” pubblicato da Voglino Editrice nel luglio del 2021 descrivo il ruolo di queste parole:La parola magica, per come la vedo io, esiste davvero, e non ha un solo suono ma la medesima intonazione della voce.Ha la dolcezza di un incoraggiamento, la melodia di un complimento, la leggerezza di un sorriso.Unica avvertenza: le parole magiche non vanno sprecate ma usate in abbondanza nel momento giusto e per il motivo giusto, quando si è ottenuto un miglioramento.I progressi vanno riconosciuti e sottolineati per permettere il cambiamento della percezione di sé.In particolare descrivo come ho scoperto in prima persona il valore di una parola magica sopra ogni altra: La professoressa di chimica mi diceva “brava” quando riuscivo a completare dei semplici esercizi, talmente banali che mi sembrava di rubare quel complimento. Eppure un passo alla volta avevo scoperto la gioia di sentirmi dire quella parola e ne volevo sempre di più e allora studiavo, di nuovo e poi ancora, fino a decidere dopo la maturità che ce l’avrei fatta anche senza di lei al mio fianco, iscrivendomi all’università di chimica. Ormai ero “Diventata” brava.Ho vissuto un grande cambiamento. Ho potuto dare una svolta alla mia vita partendo da una situazione di difficoltà.Questo è il motore principale, la mia esperienza diretta di cambiamento, che mi permette ogni giorno di aggiungere un tassello , una goccia di autostima a quei ragazzi che partono svantaggiati ma la cui indole di curiosità e il desiderio di riscatto non sono del tutto sopiti.Hanno una difficoltà oggettiva che li limita. La loro certificazione permette di agire in ambito scolastico per dare loro le stesse possibilità degli altri studenti di crescere e migliorare.Io fornisco le armi per attuare il cambiamento: spiegazioni, schemi, metodi di risoluzione dei problemi matematici ma soprattutto restituisco loro l’immagine positiva che mi danno con la costanza e la caparbietà.E con loro osservo il cambiamento.